Il diritto sindacale ed i principali servizi offerti

Il diritto sindacale è un settore del diritto dotato di autonomia. Esso si caratterizza per una forte prevalenza di norme pattizie ed una limitata incidenza delle norme di legge che però hanno fortemente orientato la stessa contrattazione collettiva verso la regolamentazione della rappresentanza e le modalità di esercizio dei diritti funzionali allo svolgimento delle attività sindacali.
La fonte normativa con cui sono stati istituiti, insieme a rilevanti diritti di libertà individuale dei lavoratori, i principali diritti sindacali nei luoghi di lavoro con più di 15 dipendenti, è la legge n. 300 del 20 maggio 1970, nota come “Statuto dei diritti dei lavoratori” o, ancor più sinteticamente, “Statuto dei lavoratori”. In essa sono previsti i diritti di assemblea, retribuita e non, di affissione di documenti sindacali, di costituzione di rappresentanti sindacali in azienda che hanno diritto di fruire di permessi sindacali retribuiti per lo svolgimento delle loro attività. La stessa legge, all’art. 28, prevede norme per la repressione della condotta antisindacale dei datori di lavoro che si sono rivelate molto efficaci, anche grazie all’applicazione della c.d. “procedura d’urgenza”.
Gran parte del diritto sindacale, oggi, deriva dagli accordi interconfederali che regolano le modalità di elezione della Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) nel luoghi di lavoro1; l’istituzione ed il funzionamento dei “delegati di bacino” ed altri organismi collegiali nell’ambito della bilateralità, nel settore dell’artigianato; le norme sulla misurazione della rappresentatività delle Organizzazioni Sindacali (numero di iscritti e voti riportati nelle elezioni della RSU) ai fin della legittimazione alla partecipazione ai tavoli negoziali per la stipula dei CCNL; ecc.
Tuttavia, i Contratti Collettivi di lavoro, hanno efficacia di diritto comune e non sono obbligatori per tutti i datori di lavoro ed i loro lavoratori. Ciò deriva dalla non applicazione dei commi da 2 a 4 dell’art. 39 della Costituzione repubblicana.
La scelta di non emanare una legge di regolamentazione del funzionamento delle Organizzazioni sindacali, pur prevista al comma 2 dell’art. 39 Cost., è stata sostenuta dalla tesi secondo la quale l’affermazione di libertà dell’attività sindacale prevista al comma 1 dello stesso art. 39 contrasterebbe con qualsiasi regolamentazione della vita dei sindacati.
La prima conseguenza di questa scelta è stata quella di non poter dare “efficacia obbligatoria” (pari, quindi, alla forza di legge) ai Contratti Collettivi che, ad eccezione di quelli vigenti all’entrata in vigore della c.d. legge Vigorelli (legge n. 751/59) che eccezionalmente, per questo aspetto, superò il vaglio di Costituzionalità, in attesa dell’approvazione della legge di regolamentazione2. Ciò che, però, non fu accettato dalla stessa Corte, furono le norme dei successivi decreti legislativi volti a rendere obbligatori i contratti stipulati dopo la legge Vigorelli, in assenza della regolamentazione legislativa prevista al comma 2 dell’art. 39 della Costituzione.
Per effetto di questa scelta, ancor oggi, come appena accennato, tutti i Contratti collettivi di lavoro hanno efficacia obbligatoria solo per gli associati alle associazioni imprenditoriali stipulanti e nei confronti di tutti i loro dipendenti (in base ai principi di uguaglianza e di non discriminazione non possono essere applicati ai soli lavoratori iscritti ai sindacati firmatari che hanno negoziato il contratto). Infatti, ancor oggi, alcune imprese applicano una propria regolamentazione unilateralmente determinata e non un Contratto collettivo mentre altre imprese non aderenti ad alcuna associazione firmataria di CCNL come, per esempio, Ryanair ed FCA (ex FIAT). Queste ultime, infatti, applicano un contratto collettivo aziendale e non il Contratto Collettivo del loro settore (CCNL).
Il proliferare di c.d. contratti pirata (CCNL stipulati da associazioni sindacali e di datori di lavoro in genere piccole o spesso locali) che mirano al risparmio sul costo del lavoro mediante la previsione di retribuzioni annue minori di quelle previste nei CCNL stipulati dalla associazioni maggiormente rappresentative, in applicazione dell’art. 36 della Costituzione sulla “…retribuzione proporzionata alla quantità e qualità di lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa” ben potrebbe indurre il legislatore ad approvare una legge ordinaria che imponga a tutti i datori di lavoro di applicare la retribuzione del CCNL del proprio settore che sia stato stipulato dalle associazioni maggiormente rappresentative3.
Come per le altre branche del diritto civile, la possibilità di dare più di un significato ed interpretazione a molte delle norme vigenti (sia quelle di fonte contrattuale sia quelle di legge) può favorire l’insorgenza di conflitti tra le imprese e le Organizzazioni sindacali o anche tra le stesse associazioni. Non è raro che tra le Organizzazioni sindacali “minori” o c.d. “autonome” e quelle confederali (specialmente Cgil, Cisl e Uil) nascano contenziosi sul diritto di partecipazione alle elezioni di una RSU e/o sulle procedure da adottare oppure che in un contenzioso sorto tra una impresa ed una associazione “autonoma” per il suo accesso ai diritti sindacali previsti dalla legge n. 300/70 partecipino, più o meno apertamente i sindacati comparativamente maggiormente rappresentativi a sostegno della tesi funzionale all’esclusione della associazione “autonoma”, specie se quest’ultima non è titolare di contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, magari perché si è limitata a sottoscrivere quello già negoziato dagli altri sindacati.
I servizi legali offerti sono principalmente:

  • consulenza per l’applicazione delle norme vigenti in materia di diritto sindacale (sia di fonte pattizia sia di fonte legislativa);
  • consulenza ed assistenza per la determinazione del CCNL da applicare o per la regolamentazione aziendale da realizzare, anche mediante contrattazione collettiva;
  • consulenza per l’individuazione dei sindacati aventi diritto a costituire rappresentanze aziendali ed a fruire dei diritti e delle libertà sindacali;
  • rappresentanza processuale in caso di attività antisindacale.

1. Accordi interconfederali23 luglio 1993, 20 dicembre 1993 e 27 luglio 1994 ormai sostituiti dal «Testo Unico sulla rappresentanza» sottoscritto da Confindustria e CGIL, CISL, UIL il 10 gennaio 2014, dal «Testo Unico sulla rappresentanza» sottoscritto da Confcommercio e CGIL, CISL, UIL il 26 novembre 2015 e dall’«Accordo interconfederale sulla rappresentanza» sottoscritto da Confartigianato imprese, CNA, Casartigiani, CLAAI e CGIL, CISL, UIL il 23 novembre 2016; accordo di modifiche al T.U. sulla rappresentanza del 10 febbraio 2014 stipulato tra Confservizi e Cgil, Cisl, Uil il 26 luglio 2018; accordo di modifica dell’Accordo interconfederale sulla rappresentanza del 26 luglio 2016 sottoscritto tra Confapi e Cgil, Cisl, Uil il 23 settembre 2019. 

2. “Fanno eccezione i contratti collettivi relativi alla procedimentalizzazione dei poteri imprenditoriali quali, per esempio, quelli che si realizzano a conclusione della procedura di cui all’art. 4 della legge n. 223/91. Tali contratti si applicano obbligatoriamente a tutti i lavoratori non in base alla loro forza intrinseca, ma in quanto essi rappresentano un tassello dell’esercizio vincolato di poteri imprenditoriali relativi alle scelte in materia di riduzione del personale.” da Rapporto legge/contrattazione collettiva. La contrattazione di secondo livello dopo il jobs act e il decreto dignità”, G. Tessitore. Edizioni Lavoro 2019, pag. 46

3. “il tema della retribuzione rispondente ai requisiti costituzionali, di cui all’art. 36 della Costituzione… spinta al legislatore a determinare linee di indirizzo utili a riconoscere solo la retribuzione individuata nei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentativi sia per il rispetto del diritto alla retribuzione sia per l’individuazione della migliore base imponibile previdenziale, obiettivo, quest’ultimo, di evidente interesse pubblico generale. Posta così, sul solo versante retributivo e contributivo, nel rispetto dei vincoli costituzionali, resterebbe formalmente impregiudicata la libertà associativa di quanti si avvalgono di «contratti pirata» invocandola loro libertà di aderire ad associazioni che riescono a sottoscrivere tali contratti, ma restando questi ultimi differenziabili dai contratti delle associazioni maggiormente rappresentative esclusivamente per le norme diverse da quelle che agiscono direttamente sul calcolo della retribuzione verrebbero a perdere gran parte dei veri motivi per cui sono stati scelti in questi ultimi anni in misura crescente. Più volte la Corte di cassazione ha espresso questi principi di diritto; si vedano, a tal proposito, le sentenze indicate nelle note 7 e 8.” .” da Rapporto legge/contrattazione collettiva. La contrattazione di secondo livello dopo il jobs act e il decreto dignità”, G. Tessitore. Edizioni Lavoro 2019, pag. 190.